Il grande fisico Schrödinger, che era dotato di una grande intuizione filosofica, notò che la Scienza si fonda su due principi “nascosti”, che sono l’intelligibilità e l’oggettivazione. Che cosa significa?

Anzitutto, dice Schrödinger, questi due principi sono “nascosti”, cioè sono talmente ovvi e scontati che nessuno li nota.I due principi che quasi nessuno ha mai notato (dice Schrödinger) ma su cui si basa la scienza, sono:

-intelligibilità;
-oggettivazione.

Il primo (intelligibilità) sottintende che i fenomeni naturali possono essere compresi, misurati, classificati, previsti, ecc. Per esempio, nella mitologia, l’intelligibilità non esiste ancora, poiché la realtà viene vista come un fenomeno incomprensibile e senza leggi prefissate. Invece, nella scienza, si dà per scontato che la realtà possa essere capita in termini della nostra intelligenza (intelligibilità).

L’altro principio, e siamo al dunque, è l’oggettivazione. Questo è ancora più nascosto, a tal punto che molti scienziati non lo vedono nemmeno dopo che gli viene spiegato accuratamente. “Oggettivazione” significa che la realtà viene considerata un “oggetto” esterno alla mente, cioè al “soggetto” che lo studia. Si crea quindi una “dualità” soggetto-oggetto. L’oggettivazione è un’ipotesi di lavoro indispensabile nella scienza, altrimenti la realtà che noi chiamiamo oggettiva non potrebbe essere studiata.

Il problema è che l’oggettivazione può portare a delle concezioni fuorvianti, come quella puramente materialistica e meccanicistica, secondo cui il mondo è puramente oggettivo e la mente cosciente non ha alcun ruolo importante in esso, e per assurdo viene considerata come un “effetto secondario”, ininfluente, per nulla importante, come un meccanismo nato per caso dentro gli organismi viventi… Il soggetto è stato dimenticato, e si tenta di re-introdurlo nella realtà in termini di un meccanismo secondario di nessuna importanza.

A questo proposito Schrödinger propone un paragone meraviglioso, riportato sul suo libro “L’immagine del mondo”, cap.7, e citato anche a pag. 250 del libro “Ipotesi sulla Realtà” (paragrafo 4-4): “Talvolta un pittore pone in un suo grande quadro una figura minore in cui rappresenta se stesso. Da un lato esso è l’artista che ha creato il tutto; nel quadro egli è però una figura accessoria senza importanza, che potrebbe anche mancare, senza compromettere l’effetto complessivo”.

Questa concezione risale all’antica filosofia greca (in particolare ai filosofi presocratici), che iniziarono a studiare la realtà in termini puramente oggettivi: per esempio: “il principio primo che dà origine all’universo è l’acqua”, oppure l’aria, oppure il fuoco, ecc. Che ciò sia giusto o sbagliato ha poca importanza (oggi sappiamo ovviamente che il principio primo non è né l’acqua né l’aria né il fuoco, bensì qualcosa di molto più “sottile”, ovvero il “campo unificato”, un campo di forze che dà origine sia alle particelle cosiddette materiali che alle forze che esistono tra queste). Cio che è importante è che questi filosofi (che pure erano dei grandi geni) vedevano l’origine della realtà in un OGGETTO (aria o acqua ecc.).

Ben diversa è la filosofia indiana, che capovolge tutto questo e pone l’origine della realtà nel SOGGETTO: il mondo esiste solo perché io lo posso percepire e posso esserne cosciente! Ovviamente questa concezione alternativa non è così banale come si legge nella frase sopra (cioè non è puramente soggettiva, altrimenti sarebbe la controparte sciocca dell’oggettivazione, e tutto si ridurrebbe ad un “sogno” creato dalla nostra mente). La filosofia indiana è completa perchè sostiene che il tutto, o l’unità (Samhita), è formata da Rishi (principio soggettivo), Chandas (principio oggettivo) e Devata (relazione tra soggetto e oggetto). Ma dei tre, il più importante è Rishi!

Quindi ora possiamo capire che l’oggettivazione è quella “malattia” o quell'”errore” dell’intelletto (pragyaparadha) che tende a vedere tutto in termini oggettivi – cioè tutto è “oggettivato” -. In pratica, il mondo viene identificato con Chandas (puri oggetti senza necessità di un soggetto che li percepisca). Rishi e Devata vengono dimenticati.

Invece per la filosofia indiana il mondo è un intreccio tra oggetto e soggetto, ovvero è un oggettivo (con tutte le sue leggi) fatto apposta per essere percepito da dei soggetti! Non può esistere un “mondo esterno” senza una consapevolezza che lo percepisca… Questo è stranissimo per un occidentale, eppure può spiegare bene tanti paradossi (altrimenti incomprensibili) che si hanno a livello sub-atomico (nella cosiddetta meccanica quantistica).

L’esperienza pratica della MT ci aiuta a comprendere e a sperimentare tutto questo. Lo scienziato occidentale che invece non pratica la MT e che è abituato a ragionare in termini di oggettivazione, trova quasi impossibile capire questo semplice concetto, e spesso lo liquida come sciocco o assurdo o mistico…

Si potrebbe parlare ancora molto di oggettivazione e portare alcune spiegazioni GENIALI di Schrödinger, che pur essendo uno scienziato occidentale che NON praticava la MT (che ovviamente non poteva ancora conoscere), è riuscito a trascendere la cornice dell’oggettivazione!

Molte pagine del libro Ipotesi sulla Realtà sono dedicate a questo (specialmente nel cap.4), e forse riescono a chiarire meglio questo concetto che inizialmente sembra molto strano al profano.

Non è così per Maharishi, che spontaneamente parla in termini NON condizionati dall’ipotesi dell’oggettivazione. L'”Ipotesi sulla realtà” a cui si riferisce il titolo del sito e del libro è appunto l’ipotesi che la realtà non sia puramente oggettiva ma sia una struttura “psicofisica”, cioè in cui la consapevolezza ha un ruolo fondamentale (ai livelli più sottili, cioè del campo unificato).

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